Vitale Melodini (mio suocero).
Vitale Melodini, nasce a San Salvo, il 24 aprile del 1937 da una famiglia poverissima, in una vecchia masseria. Ha solo tre anni, quando improvvisamente, la mamma Antonietta Cilli, muore. Il padre Angelo, dopo qualche mese dalla scomparsa della sua inseparabile compagna, si ammala seriamente. Valerio Torricella e Marietta Fabrizio (famiglia di carrettieri), pur avendo sette bocche da sfamare: cinque femmine e due maschi (Vitale e Guido), decidono di tenere in casa loro, quel bambino orfano della madre. La famiglia Torricella gli vuole un bene immenso, lo accudisce al pari di un figlio. La guerra sta per finire, Vitale ha quasi otto anni, ed ha già un lavoro: la custodia di un gregge. Un giorno, mentre conduce le pecore al pascolo, è investito da un camion pieno di soldati inglesi. L’autista, però, non si accorge dell’incidente e continua la sua corsa. Vitale con la gamba maciullata e una profonda ferita alla testa non può muoversi, e resta per lungo tempo sul selciato perdendo sangue. Trascorre quindici giorni e quindici notti dentro una piccola masseria; riesce a sopravvivere nutrendosi di grappoli d’uva. La famiglia Torricella lo cerca disperatamente. Lo zio Costantino Torricella, dopo lunghe ricerche ritrova Vitale stremato e macilento. Con l’aiuto di Cesare Ricci e Nicola Molino (quest’ultimo conosceva bene la lingua inglese), caricano il poveretto su una camionetta inglese e lo trasportano all’ospedale di Vasto, dove resta per sei mesi. Una volta guarito si dedica al trasporto delle merci come d’altronde tutta la famiglia Torricella. Una notte, gli appare in sogno la madre Antonietta che lo avverte: “ Un giorno, il tuo carretto si rovescerà e tu ci finirai sotto, stai attento, la Madonna ed io ti salveremo”. La settimana seguente, mentre Vitale trasporta un carico di canne lungo un viottolo della “Rotella”, il cavallo comincia a imbizzarrirsi. Il carretto si ribalta, e insieme al cavallo, sprofonda in un fosso. Vitale rimane sotto il ventre dell’animale con le gambe impigliate ai finimenti. In quel momento gli appare di nuovo il volto della mamma che lo rassicura. Subito soccorso da Angelo Bruno, Guido Torricella e altri contadini, esce indenne dal brutto incidente. I Torricella incrementano l’attività di trasporto delle merci con l’acquisto di altri cavalli, carretti e carrozze per gli sposi. All’inizio di primavera, la famiglia Torricella, compra un cavallo di una razza araba, snello, focoso, di colore bianco, adatto anche per la riproduzione. Il suo nome è “Lucifero”, è un animale intelligentissimo, ma sferra poderosi calci a qualsiasi persona gli si avvicina, è un cavallo irascibile e indomabile. Vitale, con la pazienza e la dolcezza, che solo un esperto di cavalli sa usare, dopo alcune settimane riesce ad addomesticarlo, nasce tra l’uomo e l’animale, una profonda amicizia. Purtroppo, la famiglia Torricella, dopo alcuni anni, decide di vendere il cavallo al migliore offerente e di chiudere l’attività, Vitale piange disperatamente. “Come farà a vivere senza il suo Lucifero?”. Im quei giorni arrivò la cartolina rosa del servizio militare che lo portò a Milano. E’ un pomeriggio d’estate, il sole spacca le pietre, mentre costeggia la staccionata di un ippodromo, scorge un cavallo dal colore bianco, snello e dalla corporatura perfetta, il suo cuore comincia a battere veloce, resta impietrito, poi, con la voce bloccata dall’emozione, emette un grido: ”Lucifero!”. Il cavallo drizza le orecchie, poi s’inerpica sulle zampe posteriori e nitrendo ripetutamente galoppa verso il vecchio “amico”. Vitale gli corre incontro, si aggrappa forte al suo collo e scoppia in un pianto irrefrenabile. Come davanti a un vecchio confidente gli racconta tante storie, il cavallo ascolta, si fa tardi e il treno sta per ripartire. Vitale non ha il coraggio di andarsene. Dà un ultimo abbraccio al cavallo, e con gli occhi pieni di lacrime, si avvia con passo lento verso il treno, mentre il nitrito di Lucifero risuona come un pianto disperato di chi lascia per sempre un grande amico.
Michele Molino