Nella foto di gruppo si riconoscono il prof. Bini e il prof di Italiano Di Gregorio Mario, Saba Gianni, Masciale Antonio, Bevilaqua Rocco, Spenza Gino, Torricella Antonio, De filippis Peppino, Cilli Anna, Fabrizio Antonietta, Cristini Angela, Roselli Gabriella, Trovarelli, Di Rito e le quattro ragazze presenti nella foto piccola Colecchia Beatrice, Ciccotosto Grazia, Rosselli Gabriella e Di Lallo Vittoria.
Questa figura emblematica sempre presente nelle narrazioni
dai tempi più remoti mi ha sempre colpito, per questo voglio ricordare alcuni
nomi di queste levatrici che hanno aiutato le donne di San Salvo nei vari
periodi storici.
Artese
Vittoria 1798, Ciavatta Santa 1809, Di Santo Maria, Giuseppe 1812, Melchiorre Nobila 1820, Desiato Francesca 1824, Giapietro Angelantonia 1831, Checchia Francesca 1886, Frasca Emma Giulia 1913, Nola Ermida 1962.
Personalmente sono nato a cavallo del cambiamento, mentre
alcuni cominciavano ad andare a partorire in ospedale io sono nato in casa. In
quei tempi ed per qualche lasso di tempo si usava chiedere “A tà chì t’à fàttë nàscë”? (A te chi ti ha fatto nascere?) “A ta chì t’arcòddë”? (A te
chi ti ha raccolto?). Questa non era una domanda a doppio senso o
religioso o altro, ma era riferito al nome della mammènë (Levatrice, Ostetrica). Nel
mio caso la donna che aiuto mia madre a mettermi alla luce fu Donna Emma forse
l’ultimo, anche se era andata da poco in pensione non abbandono mia madre al
quarto parto. Per l’anagrafe Frasca Emma
Giulia, che era nata a L’Aquila il 20-01-1893 e deceduta a San Salvo il
31-03-1973. La popolazione nutriva grande rispetto per la sua persona e per il
suo lavoro che in quei tempi, non era facile, i parti avvenivano nelle case, a
volte in piena notte e spesso in condizioni indescrivibili per i nostri tempi
moderni, la “mammène” doveva correre subito, il bambino non aspettava, non
guardava ne l’orologio ne il maltempo. Erano tempi davvero bui e bisogna
ricordare, che vi era un’alta mortalità tra i neonati. Ricordo di quando mia
madre mi raccontava di Donna Emma in particolare una frase è rimasta indelebile
nella mia mente “Quèssë mò fa la fènë dë
chill’àltrë” (Questo sta per fare la fine di quell’altro),
riferendosi a mio fratello Giuseppe che nacque in posizione podalica nel 1954 e
morì lo stesso giorno, poi riuscii a girarmi o mi fecero girare non so, andò
tutto bene e sono qui.
Con la legge 833 del 1978 sul Servizio Sanitario Nazionale,
l’Istituto Nazionale della Sanità abolì formalmente la figura dell’ostetrica
condotta, il ruolo dell’antica “mammène” terminò, spostando di fatto
le nascite dalle case agli ospedali.
Ricordo che i vecchi non dicevano mai fammi una foto, ma esclamavano “FÀMMË ‘NU RUTRUÒTTË” (Fammi un ritratto).
Una volta il ritratto era riservato ai grandi personaggi, ai
sovrani e ai ricchi aristocratici, sotto forma di busti marmorei o legnose o
sotto forma di pittura su vari supporti. Poi con l’avvento della fotografia e
grazie ai fotografi ambulanti, che giravano per le fiere di paese in paese,
anche i meno ambienti finalmente ebbero il loro ritratto così da poter tramandare
il loro ricordo nel futuro.
Nella foto lo zio e i cugini dei miei genitori, Cilli Vitale con i figli Rocco e Nina inizi anni ’30.