San Salvo 1810, erano Briganti o Patrioti?
La storia cittadina mi ha sempre affascinato, fin dai primi racconti di mio padre Vito, questa piccola ricerca è partita da un vecchio documento trovato che si incastrava con una naturale perfezione in quei racconti paterni, dando vita a questa inedita ricerca.
Oltre a vera forma di banditismo, il fenomeno del brigantaggio ha spesso assunto connotati di vera e propria rivolta popolare, dai tempi dei romani erano chiamati BRIGANTI tutti quelli che si ribellavano all’autorità preposta, sin dalla sua origine la causa di fondo del brigantaggio era la miseria.
Nell’Abruzzo tra la fine del ‘700 e inizio ‘800, il popolo era confuso prima c’erano i Borboni, poi ci fu una breve repubblica e poi arrivarono i francesi.
Durante il decennio francese 1805/15, quando le truppe francesi occuparono il Regno di Napoli borbonico, vennero attuate dure repressioni contro i così detti briganti, ogni comportamento ostile e pensiero avverso era considerato cospirazione.
Anche San Salvo non venne risparmiata da tutto questo, il 18 agosto 1809 fu inviata un Real Decreto dove erano elencati un numero di sconsigliati che non meritavano più essere tollerati nella società.
Quelli di San Salvo erano:
Pietrangelo Artese, Innocenzo Intravato, Domenico d’Alfonso, i fratelli Vitale e Giovanni Torricella, Coralbo Bronzi, Bartolomeo Cilli, Luigi Marcozzi, Saverio Cioppi, Falco Melodini (di soli 13 anni, avo di mio suocero), Nazario Cupaioli, Berardino Dolce, Michele Sorge, Anastasio Panza, Francesco Marcozzi, Girolamo Spenza e Pietrantonio di Pietro.
Poi nel 1810 all’inizio dell’anno nuovo gli eventi precipitarono in un modo tragico e funereo.
Mentre le prime ombre della sera scendevano su San Salvo, il primo a cadere di quella lista in un’imboscata alle ore 16 nel pomeriggio del 3 gennaio 1810, fu Coralbo Bronzi di soli 23 anni, sul certificato di morte hanno scritto di professione brigante.
Il 5 aprile 1810, il Regio Procuratore presso la Corte Civ-Militare di Chieti inviò una lettera al sindaco di San Salvo Cassiodoro Sangiorgio registrato dal cancelliere Vitale Napolitano, dove lo informava che Girolamo Spenza moriva improvvisamente sulla salita di Pettorano sul Gizio, mentre Berardino Dolce che era con lui cercò la fuga ribellatosi ai gendarmi, fu fucilato sul piano della Maddalena territorio di Popoli, i due li stavano portando a Napoli.
Il 29 aprile 1810, furono arrestati: Patrizio Candatore di anni 20, Vitale Torricella di anni 27, Pietrangelo Artese di anni 28 e Wenceslao Monacelli di 26 anni, i quattro furono impiccati per decreto militare sulla pubblica piazza come monito alla popolazione.
Il 7 maggio fu la volta di un altro gruppo, Domenico d’Alfonso di 26 anni, Giovanni Torricella di 22 anni (fratello di Vitale), Nicola Magnacca di anni 29 e Michele Gualdini di 28 anni originario di Monteodorisio anche loro furono impiccati, mentre lo stesso giorno Anastasio Panza di 20 anni e Pietrantonio di Pietro di 22 anni furono fucilati (raffigurati nel disegno).
Considerando che c’era un regime militare e non c’erano processi, laddove i militari erano giudici e giuria, la condanna era sempre la pena capitale da eseguire sul posto.
Personalmente ho dei dubbi, penso che data la giovane età dei condannati, ho la netta sensazione che erano giovani incauti che esprimevano le loro opinioni a voce alta, guidati da un vento ideologico portato all’inizio secolo dalla rivoluzione francese o quello semplicemente di non accettare di essere occupati e comandati dallo straniero, più che semplici malviventi dediti al furto e l’uccisione.
Peccato che non vi sono documenti a smentire o a conferma del mio pensiero. Poi come è possibile che si siano fatti catturare tutti insieme, nessuna banda di briganti è stata mai sconfitta senza conflitti a fuoco con i gendarmi, poche volte sono stati fatti dei prigionieri, era sempre una strage.
Sembra più un rastrellamento notturno, una ricerca sistematica, organizzata e predisposta per la cattura di questi nostri concittadini fatta di casa in casa.
Forse erano PATRIOTI?
Nel primo dispaccio non si parla di banda di briganti dove vengono riportati e attribuiti episodi di sangue e saccheggi, ma di cittadini da tenere sotto controllo, 6 di loro erano sposati con famiglia.
Come il caso di Wenceslao Monacelli (fratello di un mio avo), sposato da poco con Maria Cavallaro con un figlio Pietro di 2 anni e Geltruda nata il 19 agosto del 1809 o di Coralbo Bronzi già menzionato, benestante figlio del dottore e chirurgo Vincenzo originario di San Severo (Fg) e di Angelina Manes, non credo che vivessero alla macchia come comuni banditi.
Scriveva don Cirillo Piovesan che la mamma dei Torricella, Dea Marcozzi morì il 21-12-1812 a 60 anni nel suo letto di crepacuore, penso che questo succede quando tutto è inaspettato e improvviso, se sai di avere figli briganti ti rassegni, sei pronta a tutto e sai già come sarà l’epilogo della storia.
Sicuramente il clima di sopravvivenza e terrore che si respirava e la poca scolarizzazione di massa, nessuno si è interessato e dare importanza agli eventi o a scrivere la vera storia dell’accaduto, poi il tempo ha fatto il resto seppellendo tutto sotto la parola “BRIGANTAGGIO”.
Il brigantaggio di quegli anni si attenuò con il ritorno dei Borboni a Napoli nel giugno 1815.
Sicuramente questi nostri concittadini erano differenti e da non confondere con quei briganti nati dopo l’unità monarchica del 1861, ma questa è un’altra storia.
Stefano Marchetta