“San Vitale 2013” a volte il bello della festa sta nell’attesa e nella preparazione.
28 Aprile a San Salvo festa del Patrono “San Vitale”.
Lë Sàmuë
Lë Sàmuë
Lë Sàmuë per noi di San Salvo è il sinonimo di San Vitale.
Per molti è la soma è il sacco di grano, inteso come carico che prima si metteva sui cavalli e adesso si mette sui trattori.
Invece bisogna fare una precisazione lë Sàmuë è la “salma“unità di misura usata in questa zona per solidi, terreni e liquidi, che varia da regione a regione, che corrisponde a 1 quintale e 20 chili, per le superfici era 1 ettaro e 200 m².
Questo per dire che una volta offrire il sacco di grano significava dare la quantità ben precisa(Lë Sàmuë), a volte si univano anche più famiglie per ringraziare Dio e San Vitale per il raccolto futuro e per quello passato.
Così facendo anche la commissione della festa sapeva l’ammontare preciso del grano che poi avrebbe usato per le sagne e per i taralli e se qualcosa avanzava venderlo e usare il ricavato per la festa.
Ora i connotati della festa sono cambiati, a parte le offerte in danaro, la devozione non cambia, c’è chi offre il grano, chi mette a disposizione il trattore e chi offre tutti e due, a far sì che la tradizione non passi.
Stefano marchetta
Ieri alla sfilata dë lë Sàmuë mentre per tutti era viva, viva SAN VITALE qualcuno gridava forza San Salvo, il calcio non ha confini.
San Nicola e San Vitale
A San Salvo la tradizionale sfilata “dë lë Sàmuë” con cavalli e trattori, che portano al mulino in sacchi (lë Sàmuë) il grano da ridurre in farina necessario alla preparazione dei ‘Taralli’ di San Vitale.
“IL DIALETTO SANSALVESE”
“Il dialetto è l’idioma, è il DNA lasciatoci dai nostri antenati, un tesoro da conservare, da far sopravvivere, da difendere”.
Il dialetto è la comunicazione diretta, più calda, più amichevole, un parlare con il cuore che rende unica il dialogo, quasi come un marchio per riconoscersi insieme ad altri di appartenere ad un luogo ben preciso.
Dialetto dal greco Dialéktos lingua di un determinato popolo.
Nel tempo il parlare dialetto o VERNACOLO man mano è andato scomparendo, a volte anche per vergogna dopo un rimprovero da maestre o professori non nati nello stesso territorio.
Ora sento ragazzi che vogliono riscoprire il parlato dei loro nonni, che i genitori stupidamente hanno nascosto loro, improvisandolo sicuri in molti casi che basta tagliare la finale della parola, come i messaggini del cell. convinti di fare bene, non essendoci chi li corregge, parlano in un dialetto MACCHERONICO.
Riuscire a dimostrare che il dialetto sia così e al quando difficile considerando che mi sono appoggiato agli anziani e al parlare famigliare, dato scontato che di generazioni ne sono passate tante.
La mancanza di scritti non attestano la veracità del mio scritto, che si basa sull’interpretazione degli accenti del parlato comune.
Un’altra considerazione che bisogna fare che fino a gli anni 50’ San Salvo contava 3’000 anime ora ne vanta quasi 20’000, ciò dimostra che tutti gli innesti dei vari paesi ne ha alterato il dialetto, arrivando al punto di fondere tutti insieme e crearne uno omogeneo, facile da capire a tutti.
Provare a salvaguardare il nostro dialetto e uguale a piantare una vigna di uve autoctoni, personalmente non voglio elevarmi a maestro, ma voglio provarci.
Come tutte le lingue al mondo, anche il nostro dialetto ha le sue regole, provo ad elencarne alcune:
La prima:
è quella che molte volte è sorvolata perché si è convinti che non c’è, è la finale della parola, che generalmente è la – Ë – con l’accento chiamato “ la DIERESI “ comune nelle lingue francesi e tedesche, essa è una E chiusa quasi soffocata dall’ultima consonante, ma c’è, anche se non se ne è coscienti la pronunciamo.
Anche all’interno di alcune parole ce la “ë”, come il mio nome Stefano, si scrive Štèfënë si legge Sctèf’n’.
La seconda:
è che tutte le parole in Italiano con consonanti affricate( cioè due consonanti insieme), dove la consonante “T” è preceduta da una “N” diventino “D”, cioè NT=ND ANTONIO = ‘NDÒNIË, SANTO = SANDË, CANTO = CANDË, ecc. ecc.
La terza:
come la seconda le consonanti “C” precedute dalla “N”, diventino “G” LANCIANO=LANGIÀNË, ANCORA=ANGÀURË, MANCATO=MÀNGATË, ecc. ecc.
La quarta:
molte parole che iniziano con “IM o AM”, la stessa viene omessa con l’apostrofo –‘- iniziando la parola direttamente dalla consonante.
Imbrogliare con le chiacchiere -‘MBÀBUCCHIETË, Impaurito- ‘MBÀURETË
La sesta:
la Š (con il cuneo in testa) davanti a una consonante si legge “SC” davanti alle consonanti, Stretto-Štràttë si legge sctràtt’, Štrèllë-Grida si legge sctrèll’.
La settima:
la “G” dura (Ga, Go, Gu) si legge “H” Gatto- Hattë, Gola-hòlë.
la “G” dolce (Gi, Ge, Giu) si legge “I” Gennaio- Innarë, Giuseppe-Isèppë, a volte la “G dolce” raddoppia “GG” Geloso-Ggilàusë, Giallo-Ggiàllë, Gesù-Ggisì.
L’ottava:
le parole che iniziano con “ IN, AN” perdono la vocale e al suo posto va l’apostrofo –‘- iniziale, Antonio-‘Ndònië, Anquilla-‘Nquèllë.
La nona:
le parole che finiscono con “ONE” si traducono in “ÀUNË” Balcone-Ballecàunë, Aquilone-Drahàunë.
La decima:
i gruppi “SCI e SCE” raddoppiano la S, così SSCI e SSCE.
L’undicesima:
la particella pronominale “SI” diventa “ONNË”.
La dodicesima:
le parole che iniziano con “GR” si leggono “HR”, Groppa-Hròppë, Grazia-Hràzië.
Stefano Marchetta
Azzechë, sbaijë e ‘ndùvuenë.
(Azzeccare, sbagliare e indovinare).
Si dice di quando non si sa che cosa fare.