Dic 21, 2013 - Poesie    No Comments

FIOCCO DI NEVE

E’ bello vederti tuffare

dalle tue nuvole bianche,

scendi verso terra,

poi ti aggrappi a un soffio

di vento,

torni su, svolazzi qua e là

poi pian, pianino

ti posi.

Aspetti che arrivano i tuoi fratellini

a coprire tutto con un magico

lenzuolo bianco.

E nel toccarti

meravigliato,

un bimbo gioisce.

 

Stefano Marchetta

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Dic 12, 2013 - Poesie in Vernacolo    No Comments

Rrà e Patratèrnë

Sàprë a štu  muànnë,

l’òmmenë zë cràdë

Rrà e Patratèrnë.

Ma candë l’àrië zë ‘ndruvutàijë

e lu mualetèmbë fa dànnë,

armànë gnè na štuvuòlë.

Chiàgnë cacchè mortë,

uàrdë quàllë c’àrmànë e

pë nu mumuèndë prèghë Ddè.

Ma pë nu mumuèndë, pë nu suquàndë,

ma sibbutë z’arcràdë …

Rà e Patratèrnë.

 

Stefano Marchetta

Dedicata alle persone che hanno perso tutto per il maltempo e per colpa dell’uomo stesso.

 

 

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Dic 8, 2013 - Articoli    No Comments

Lu tàcchië

Lu tàcchië, grosso ceppo di legno che la famiglia metteva da parte per poterlo ardere nelle lunghe giornate d’inverno.

tacchie

Così importante da diventare simbolo propiziatore di un eventuale matrimonio, era messo notte tempo davanti alla porta della casa, dove viveva la giovane su cui il giovanotto aveva posato gli occhi.

Bisogna calarsi in quei tempi, dove era difficile parlare con una ragazza, dove le classi scolastiche non erano miste, non come adesso che tra Chat, Facebook è più facile interagire, dove ragazzi e ragazze vanno prima a letto e poi si chiedono i rispettivi nomi, ma erano altri tempi.

La mattina il genitore se aveva piacere che il matrimonio si facesse, considerando che il paese era piccolo la gente parlava si sapeva chi era il promesso, così prima di rientrare lu tàcchië davanti ai paesani esclamava:

“ Cà ‘ndecchiàte la fèija mà, mò lë da štecchià”

(frase che significava chi ha posato il ceppo, ora si deve assumere le sue responsabilità).

Così a breve il giovane poteva recarsi conoscere la futura sposa ma non da solo ma doveva essere accompagnato da lu Mmuasciatàurë

(Ambasciatore o Ruffiano) che nell’occasione indossava le calze rosse (dal latino Rufulus uomo dai capelli rossi) persona che era predisposta o per amicizia o per denaro a combinare matrimoni .

Poi erano portati i genitori per contrattare la dote a mettere nero su bianco come un normale contratto, beni che erano dati allo scopo di indennizzare la donna che uscendo dalla famiglia di origine, perdevano il diritto all’eredità paterna, che con la riforma del diritto di famiglia fu vietato nel 1975.

dote

Tradizionalmente nella società contadina la dote era costituita da una cassapanca contenente il corredo che consisteva in un numero di lenzuola, tovaglie piatti ecc. e altre suppellettili per la casa, che variava in base al ceto sociale.

Nei giorni antecedenti il matrimonio, la dote veniva esposta (Spàsë) e poi portata nella casa dei futuri sposi da donne con il canestro in testa sfilavano per far vedere a tutti quando era ricco e abbondante il corredo, o era portato con un carro addobbato a festa.

Non sempre era così, a volte la reputazione del giovane era un biglietto da visita al quando brutta che la stessa ragazza chiedeva ai genitori di non fare il matrimonio o era una questione di famiglie del non uguale ceto o il problema era che alcune famiglie avevano una nominata non accettabile, di conseguenza lu tàcchië non era rientrato e notte tempo l’innamorato andava a riprenderselo in attesa di maggior fortuna.

Un augurio dei genitori non è cambiato nel corso degli anni ed è questo:

” Peijètë ìunë rècchë, bèllë e nobbelë, peccà la ròbbë ‘n quìndë e farzèlë ‘n quìndë e tenàrlë

(Prenditi una ricca , bella e nobile, perché la proprietà, un conto e farsela un conto e già tenerla, ma alla fine vince sempre l’amore).

Stefano Marchetta

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ivanoff.jonas@mailxu.com