La Pipezzerë, alcuni vincitori.
Famiglia Giovanni Bassi 1952
Bimbi in via della Mirandola.
Famiglia Giovanni Bassi 1952
Bimbi in via della Mirandola.
Era usanza che il mugnaio dell’antico mulino di Pantanella situata un tempo a San Salvo marina, dopo aver macinato il grano che serviva per fare lë purcellatë (i taralli), offriva per la festa del Santo Patrono la pipezzerë o pepezzerë che non era altro che un palo abbellito con nastri colorati, su cui erano legate delle pagnottine di pane, essa era messa in palio l’ottava di San Vitale, precisamente il 5 maggio.
Il comitato durante la raccolta delle offerte portava in giro la pipezzerë per farla vedere, così le famiglie che davano l’offerta partecipavano alla sua estrazione, alla famiglia cui andava la pipezzere veniva da tutti considerata fortunata perché era ritenuta scelta dal Santo.
La pipezzerë nel tempo subì delle trasformazioni prima divenne una croce per poi arrivare negli anni ’50 a una forma ovoidale fatto in legno intrecciata a mo di rete che era rivestita con carta velina e nastri di diversi colori, su cui erano legate le pagnottine.
Anche le pagnottine di pane ebbero un’evoluzione trasformandosi in dolci dalle forme di cavalli, pupe, colombi, cuori e altro, preparate dalle sapienti mani delle donne che partecipavano alla preparazione delle sagne e dei taralli di San Vitale.
Una volta cotti i dolci, una parte rimaneva così come usciti dal forno, una porzione era decorata e la restante era impreziosita con lu ggiuluèppë biànghë (sciroppo denso di zucchero).
Stefano Marchetta
Fòchë štìusë e lìmuë armòrtë.
(Il fuoco non arde e il lume è spento).
Per indicare quando in una situazione non si va a capo di niente.
Si riconoscono Ciuffi Angelo, Romilio Vincenzo, Checchia Sebastiano e altri.
Štì ‘ngnë na sèrpë ca pèrzë lu vulànë.
(Stai come una serpe che ha perso il veleno).
Si dice di qualcuno che non può cambiare nessuna situazione.
Lu percellàtë, è il più antico tipo di dolce, tipico del centro meridione fatto solo con farina, lievito, acqua e sale, era offerto ai poveri nelle varie occasioni festive davanti alle chiese.
A San Salvo fu creata una a forma dentata dedicata a San Vitale patrono della città, esso vuole rappresentare l’aureola del Santo. Lu percellàtë è preparato dalle donne per essere distribuito gratuitamente alla popolazione il giorno della festa il 28 aprile. Formata da due cerchi di pasta sovrapposti una dentata e una no, poi sono fatti aderire bagnando le parti che si vanno a toccare, alla fine prima della cottura è impresso un sigillo formato da tre lettere SVM (San Vitale Martire). L’impasto per la sua semplicità induriva subito, le persone a parte qualche pezzo che era portato in campagna da appendere a qualche albero a benedizione, protezione o per ringraziare per un futuro raccolto, per poterlo mangiare tutto si ammorbidivano con acqua, per non mettere a rischio la dentiera. Ricordo che mio padre diceva: “Nghë lu purcellàtë, jé cë dècë la massë” (Con il porcellato, io ci dico la messa), perché lo ammorbidiva con un po’ di vino “Corpo e Sangue di Cristo”.
Ora la ricetta è cambiata sono stati aggiunti nuovi ingredienti come uova e zucchero, divenendo quasi un dolce morbido e fragrante.
La forma è rimasta fedele a quella originale.
Ps: Ricordo un aneddoto di quando ero piccolo gli anziani per giustificare la povertà dell’impasto dë lu percellàtë, dicevano che doveva essere fatto così perché San Vitale aveva il diabete.
Stefano Marchetta