Candë sìndë a sunuò la cambànë a longhë zë mortë ‘nu sugnàurë,

candë sìndë a sunuò sveldë sveldë zë mortë ‘nu puvurèllë.

(Quando senti a suonare le campane a lungo è morto un signore, quando senti a suonare svelto svelto è morto un poverello).

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Ott 30, 2015 - Articoli    No Comments

“Al Cimitero”.

Da quando il mondo è nato, la morte è stata sempre presente nella vita dell’uomo, ma la si scopre solo quando vediamo piangere i nostri genitori per una persona vicina, un nonno, un amico, un famigliare o altro.

In molti casi si tocca con mano la morte perdendo prematuramente un proprio genitore.

Ricordo che l’indomani del funerale di mio zio, si doveva andare a tumulare il defunto, io ero solo un ragazzino ma mio padre m’invito ad andare con lui dicendomi: ”Non aver paura, la morte e la vita sono i due rovesci della stessa medaglia con cui bisogna convivere e crescerci”.

Concetto che ritrovai leggendo Epicuro che diceva: “Perché aver paura della morte, quando noi ci siamo, lei non c’è, quando lei c’è, noi non ci siamo più”.

A quei tempi i parenti dovevano portare il muratore, i mattoni e tutto l’occorrente per chiudere il loculo, poiché ci voleva tempo, io ne approfittai per girovagare per i vicoletti del cimitero, dedicandomi in quella specie di gioco che tutti abbiamo fatto, trovare la persona che aveva vissuto più anni.

Entrando in uno dei vicoletti, notai che nella sua metà c’era un vecchio, al mio saluto non preferì nessun ceno o parola, riguardandolo vidi un sorriso disegnato sul suo volto, occhi lucidi e uno sguardo perso verso l’infinito. Continuando il mio vagabondare di lapide in lapide, rincontrai di nuovo il vecchio nella medesima posa in un altro angolo del cimitero, io passai e nell’osservare quell’aria da ebete sogghignai, mentre in lontananza mio padre con un fischio attirò la mia attenzione facendomi capire che si andava via.

Dal quel giorno sono trascorsi molti anni avevo dimenticato quell’episodio ma tempo fa mi trovavo nel cimitero davanti alla tomba dei miei genitori, quando il mo sguardo incrociò il mio riflesso sulla vetrata di una porta, subito mi accorsi di avere lo stesso sguardo rimbecillito e assente di quel vecchio incontrato tempo addietro, come un computer, la mia mente aveva aperto tanti ricordi, foto e attimi di gioia vissuti e condivisi con i miei genitori, proiettandomi in un mondo parallelo, facendomi dimenticare il luogo in cui mi trovavo.

È proprio vero, una persona non è morta fino a quando un suo ricordo vivrà dentro di noi.

Stefano Marchetta

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Albèrte lu cambesandàre e lu Maresciàlle.

Z’arcànde ca ‘na vòdde Albèrte lu cambesandàre, zà vè fàtte parècche bicchìre, à ‘ngundrùate le carabbinìre e lu maresciàlle j’à dètte: “Io ti ficco dentro per ubriachezza molesta!”.
Albèrte, che nin ze manghe attenàve rètte, ‘nghe la lànghe tòrte j’à rešpošte:”Marescià, se mi mètte dàndre sugnurè, po’ passà poca jùrne ma jé arrièsce, ma se ti màtte dàndre jé, tì nin arrijìsce cchì!”

(Alberto era il custode del cimitero).

Stefano Marchetta

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