Zio Giuseppe La Palombara e il cane ‘Ngeštà.

Nel comune di Vasto c’era la masseria di Giuseppe La Palombara cognato di mio nonno in quando aveva sposato la sorella Filomena.

In un giorno assolato si senti un a voce di un uomo fermato davanti al cancello della fattoria che gridava ”Uèiii, lu padrònë cë štà lu quànë”? (Ehii, il padrone ce il cane?)

L’uomo in questione era un venditore a porta a porta, che per tutta risposta senti per due volte una voce che strillava da dentro “’Ngeštà, ‘Ngeštà” (Non ce, non ce), quando il rappresentante aprì il cancello con mano la sua fedele valigia di rappresentanza avviandosi verso la casa. D’improvviso fu spinto a terra e dalla sua bocca cominciarono a uscire urla da dolore causati da morsi di un cane avventatosi su di lui, nel frattempo ne sentire tutti quegli strilli, tutta la famiglia uscì togliendo il cane di dosso al mal capitato e nello stesso tempo lo rimproverarono chiedendogli chi gli aveva detto di entrare. L’uomo frastornato e dolorante, ebbe la forza di sussurrare solo “Ma io ho sentito dire ‘Ngeštà, ‘Ngeštà”, zio Giuseppe gli rispose “Ero io che chiamavo il cane per legarlo”.

Il nome del cane era ‘Ngeštà, per fortuna il tutto finì a tarallucci e vino.

Stefano marchetta

 

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Mag 21, 2016 - Articoli    No Comments

Lu Tùcchë e la Màla Lòffë

Ricordo che un tempo noi ragazzini per designare chi doveva iniziare un gioco, facevamo a lu tùcchë (la conta) contare il numero dato dalla somma delle dita mostrate dai partecipanti al gioco, mentre le femminucce usavano la filastrocca “Ambarabà ciccì coccò” più conosciuta a livello nazionale.

«Ambarabà ciccì coccò, tre civette sul comò, che facevano l’amore, con la figlia del dottore; il dottore si ammalò: ambarabà ciccì coccò! »

O la filastrocca più paesana della “Màla lòffë”, le bimbe usando una canna (o altri oggetti) declamava la tiritera in sillabe, toccando i piedi delle compagnucce sedute su degli scalini in modo continuo e sceglierne una sull’ultima parola.

“Pìndë, pendùlë, pindòffë,

chì l’à fàttë la mala lòffë,

la fàttë lu chìulë puzzulèndë,

c’à ‘mbuzzenètë tùttë la ggèndë

e lë së fàttë pròprië tì”.

Inizialmente la filastrocca era nata ed era usata per scoprirne chi era il responsabile, quando si avvertiva uno sgradevole odore di una scarica corporale, (la cosi detta “loffa”).

L’operazione di accertamento avveniva scandendo sugli indiziati, in senso rotatorio, le sillabe della filastrocca, la colpevolezza era inesorabilmente attribuita a colui sul quale, cadeva l’ultima sillaba della filastrocca.

Marchetta Stefano

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