”Lu mòrtë, n’è mòrtë”!

Forse non tutti sanno, ma la famiglia Torricella non solo faceva come lavoro i carrettieri, ma avevano anche carrozze per i funerali. In un inverno del 1950 Vitala Torricella il figlio maggiore di Valerio insieme al piccolo Vitale Melodini (mio suocero) era andato a Lentella un paese vicino per un funerale. Lungo la via del ritorno mentre il pomeriggio cominciava a chiamare la sera, il freddo era pungente e l’umidità entrava nelle ossa, Vitale disse al piccolo: ” Nnë sèrvë ca štàmë tuttë e dìvvuë aècchë a pijjé lu fràddë, mettètë dàndrë a lu cuàrrë accusciuè štì càllë” (Non serve che stiamo entrambi a cassetta a prendere freddo, mettiti dentro il carro cosi stai caldo). Il piccolo Vitale così fece e si sdraio, complice il calduccio che si era formato al suo interno grazie alla bella imbottitura di velluto rosso, favorito dal dondolio della carrozza Morfeo lo avvolse in un profondo sonno. Al rientro al paese qualcuno notò che all’interno della carrozza c’era una salma senza bara, poiché loro facevano anche un lavoro di recupero di persone che avevano avuto incidenti mortali, quello che adesso chiamiamo “Coroner”, alcuni paesani pensarono a una disgrazia. Man mano che il carro procedeva verso casa la folla aumentava e nonostante le domande che gli lanciavano: ” Vetà chë succèssë, chì è quèssë”? (Vitale cosa è successo, che è quello) Vitale rimaneva in silenzio conscio dell’equivoco. Quando la carrozza arrivo davanti casa ormai la quantità di persone che li seguiva era cresciuta uomini, ragazzi, donne e vecchi nascosti nelle loro cappe. Solo in quel momento il carrettiere emise un suono per fermare i cavalli “Iiiiòoo”, in quel momento, il piccolo Vitale usci dal suo torpore e strofinandosi gli occhi ancora pieni di sonno si mise a sedere non capendo perché tutti lo guardavano, poi si sentirono solo urla di terrore e rumori di passi che correvano via mentre qualcuno gridava a squarciagola: ”Lu mòrtë, n’è mòrtë” (Il morto, non è morto).

Stefano Marchetta

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