Gen 5, 2015 - Articoli    No Comments

“Il Rito del maiale”

Fino a qualche anno fa il rito del maiale era la gioia di ogni famiglia, il maiale nella sua ambiguità di sporco e impuro, a sostentamento per la famiglia per un anno intero, dopo l’uccisione era lavato e purificato con acqua bollente, diventava la gràscë (l’abbondanza).

 “ A la masë cë štà lu puànë, a la vàttë cë štà lu vuènë, a lu vutenàllë cë štà l’ùijë e  lu pòrcë lë štàmë accedë, mò po’ nànghë candë vò!”

Questo diceva mio padre mentre il mattino di buon ora si preparava la callarë sopra lu trappitë, per mettere a bollire l’acqua che serviva per pelare il maiale, tutto era pronto lu scannatìurë, i coltelli di vari tipi ogn’uno serviva per un determinato lavoro, compresi i raschietti con i manici in quercia lasciati in eredità da mio nonno Antonio, poi su ‘nu tunuèccë era posto ‘na spranatàurë dove era adagiato il maiale, lu sgammijurë era posto con una corda al gancio del soffitto pronto ad appendere lu pòrcë.

Il giorno scelto era del periodo della luna in mancanza per evitare rischi di guasti durante la conservazione dei salumi, come avevano fatto i padri e i padri dei padri, come si dice meglio credere che provare.

Sulle montagne si vedeva il bianco della neve, mentre il vento portava il freddo gelido importante per la frollatura della carne, cera solo da aspettare che arrivavano gli zii e i compari per aiutare a tenere fermo il maiale.

Del maiale non si buttava niente, a riprova di questo durante l’uccisione la prima cosa che non era buttata era il sangue, subito raccolto dalle donne una piccola parte si lasciava coagulare per farne la sanguàttë, fatta a pezzettini soffritta con la cipolla o fatta, a frittata diventava la prima colazione della mattinata.

La restante parte era mescolata di continuo fino a quando non si raffreddava, per evitare la coagulazione poi conservato al fresco per qualche giorno, poi era colato e filtrato e se ne faceva lu sanghènàccë.

Poi mentre si sistemava il maiale con pezzi guanciale e altre spuntature di carne si preparava lu cìffë  e cciàffë, la seconda colazione.

Le budella una volta lavati e rigirati più volte con sapiente tecnica da mia madre, erano messe insieme alle bucce d’arancio, gli agli e acqua, fino al giorno in cui si preparavano: lë saggeccë (rosse, bianche), lë fegatèzzë, lë spresciàtë, lë lìmmuë, lë vendricènë, e in un secondo tempo lu prusìttë.

Prima che arrivassero altri tipi di conservazione, lo strutto era un elemento molto importante per riporre i salumi, di conseguenza se un maiale non aveva quattro dita di grasso sulla schiena, era una disgrazia, al contrario di adesso che le nuove specie di maiali sono sempre più magre.

Ricordo che in quel giorno molte volte cera una specie d’iniziazione di qualche cugino più grande, cui era permesso di reggere una zampa del maiale durante il rito, se questo riusciva, la sera era invitato a sedere al tavolo dei grandi, entrando così nel mondo degli adulti, mentre se non riusciva, continuava a sedere in mezzo a noi, schernito e preso in giro, noi piccoli che potevamo reggere solo la coda in attesa di crescere.

Una volta riordinato il tutto ci si riuniva tutti a tavola a mangiare: sagne, braciole, polli alla brace e altro ben di Dio, perché quella ricorrenza era un giorno di festa e di abbondanza.

 

Stefano Marchetta

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