“Il Vernacolo”
Giorni fa mi trovavo a parlare con un collega che mi prendeva in giro su l’uso di alcuni vocaboli, così senza volerlo per fargli capire il nostro vernacolo ne è uscito un discorso alquanto interessante, forse può interessare a qualcuno.
Alcune parole dialettali imputate erano: (la neve, la nave), (la maglia, la moglie), (lo sparo, dispari) ed ecc, perché a parere suo indichiamo più cose con lo stesso vocabolo.
Nel parlato cambiamo il suono alle parole mediante gli accenti, per noi è normale, ma chi ci ascolta non percepisce le sfumature del nostro vernacolo.
Scrivendoli diventa più chiaro.
La neve si scrive la návë accendo grave.
La nave si scrive la nävë accendo dieresi. (Suono afono)
La maglia si scrive la màijë accendo grave.
La moglie si scrive la máijë accendo acuto.
Dispari si scrive spàrë accento grave.
Sparare si scrive spárë accento acuto.
Come nell’italiano siamo così abituati nel parlare che alcuni accenti le pronunciamo ma non le scriviamo pur sapendo che il significato è diverso.
Il nòcciolo della questione / Un albero di nocciòlo.
I prìncipi e le principesse di tutto il mondo / È un uomo di sani princìpi.
Il séguito alla prossima puntata / Ho seguìto la lezione attentamente.
Esci sùbito da casa mia! / Gol sbagliato, gol subìto.
Stefano Marchetta
“IL DIALETTO SANSALVESE”
“Il dialetto è l’idioma, è il DNA lasciatoci dai nostri antenati, un tesoro da conservare, da far sopravvivere, da difendere”.
Il dialetto è la comunicazione diretta, più calda, più amichevole, un parlare con il cuore che rende unica il dialogo, quasi come un marchio per riconoscersi insieme ad altri di appartenere ad un luogo ben preciso.
Dialetto dal greco Dialéktos lingua di un determinato popolo.
Nel tempo il parlare dialetto o VERNACOLO man mano è andato scomparendo, a volte anche per vergogna dopo un rimprovero da maestre o professori non nati nello stesso territorio.
Ora sento ragazzi che vogliono riscoprire il parlato dei loro nonni, che i genitori stupidamente hanno nascosto loro, improvisandolo sicuri in molti casi che basta tagliare la finale della parola, come i messaggini del cell. convinti di fare bene, non essendoci chi li corregge, parlano in un dialetto MACCHERONICO.
Riuscire a dimostrare che il dialetto sia così e al quando difficile considerando che mi sono appoggiato agli anziani e al parlare famigliare, dato scontato che di generazioni ne sono passate tante.
La mancanza di scritti non attestano la veracità del mio scritto, che si basa sull’interpretazione degli accenti del parlato comune.
Un’altra considerazione che bisogna fare che fino a gli anni 50’ San Salvo contava 3’000 anime ora ne vanta quasi 20’000, ciò dimostra che tutti gli innesti dei vari paesi ne ha alterato il dialetto, arrivando al punto di fondere tutti insieme e crearne uno omogeneo, facile da capire a tutti.
Provare a salvaguardare il nostro dialetto e uguale a piantare una vigna di uve autoctoni, personalmente non voglio elevarmi a maestro, ma voglio provarci.
Come tutte le lingue al mondo, anche il nostro dialetto ha le sue regole, provo ad elencarne alcune:
La prima:
è quella che molte volte è sorvolata perché si è convinti che non c’è, è la finale della parola, che generalmente è la – Ë – con l’accento chiamato “ la DIERESI “ comune nelle lingue francesi e tedesche, essa è una E chiusa quasi soffocata dall’ultima consonante, ma c’è, anche se non se ne è coscienti la pronunciamo.
Anche all’interno di alcune parole ce la “ë”, come il mio nome Stefano, si scrive Štèfënë si legge Sctèf’n’.
La seconda:
è che tutte le parole in Italiano con consonanti affricate( cioè due consonanti insieme), dove la consonante “T” è preceduta da una “N” diventino “D”, cioè NT=ND ANTONIO = ‘NDÒNIË, SANTO = SANDË, CANTO = CANDË, ecc. ecc.
La terza:
come la seconda le consonanti “C” precedute dalla “N”, diventino “G” LANCIANO=LANGIÀNË, ANCORA=ANGÀURË, MANCATO=MÀNGATË, ecc. ecc.
La quarta:
molte parole che iniziano con “IM o AM”, la stessa viene omessa con l’apostrofo –‘- iniziando la parola direttamente dalla consonante.
Imbrogliare con le chiacchiere -‘MBÀBUCCHIETË, Impaurito- ‘MBÀURETË
La sesta:
la Š (con il cuneo in testa) davanti a una consonante si legge “SC” davanti alle consonanti, Stretto-Štràttë si legge sctràtt’, Štrèllë-Grida si legge sctrèll’.
La settima:
la “G” dura (Ga, Go, Gu) si legge “H” Gatto- Hattë, Gola-hòlë.
la “G” dolce (Gi, Ge, Giu) si legge “I” Gennaio- Innarë, Giuseppe-Isèppë, a volte la “G dolce” raddoppia “GG” Geloso-Ggilàusë, Giallo-Ggiàllë, Gesù-Ggisì.
L’ottava:
le parole che iniziano con “ IN, AN” perdono la vocale e al suo posto va l’apostrofo –‘- iniziale, Antonio-‘Ndònië, Anquilla-‘Nquèllë.
La nona:
le parole che finiscono con “ONE” si traducono in “ÀUNË” Balcone-Ballecàunë, Aquilone-Drahàunë.
La decima:
i gruppi “SCI e SCE” raddoppiano la S, così SSCI e SSCE.
L’undicesima:
la particella pronominale “SI” diventa “ONNË”.
La dodicesima:
le parole che iniziano con “GR” si leggono “HR”, Groppa-Hròppë, Grazia-Hràzië.
Stefano Marchetta