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Set 28, 2014 - Articoli    No Comments

L’ànemë dë la cànnë

Rimedi contadini.

Ricordo che un tempo andando in campagna  se capitava di tagliarsi, la prima cosa che ti dicevano era quella di urinarci sopra per disinfettare la ferita, forse perché gli antichi sapevano che l’urina era sterile e conteneva ammoniaca.

La seconda era quella di trovare delle canne secche, romperle e prendere l’ànemë dë la cànnë (l’anima della canna), quella membrana bianca all’interno delle singole sezioni della canna (i nodi), anche lei cresciuta in un ambiente sterile,  depositala sulla ferita, l’ànemë fermava il sangue e fungeva da cerotto, se ne mettevano diverse fino a bloccare il sangue, aiutando a cicatrizzare la ferita.

Stefano Marchetta

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Set 17, 2014 - Articoli    No Comments

Lë cucucciàllë marèijë

Si chiama “ECBALLIUM ELATERIUM” ma in italiano è chiamato COCOMERO ASININO, ma anche SPUTAVELENO perché sputa i semi irritanti quando arriva a maturazione esplode, così a sua volta i semi vanno a colpirne altri causando una reazione a catena.

In dialetto è chiamato lë cucucciàllë marèijë che letteralmente significa le zucchine amare.

Un tempo quando i bimbi erano arrivati al periodo dello svezzamento o perché avevano messo i primi dentini, le mamme mettevano del succo di questo frutto sul capezzolo e sul seno in modo tale che il fastidio dell’amaro faceva allontanare il bimbo dal seno senza nessuna forzatura ma spontaneamente.

Era usato anche per far togliere il vizio alle bimbe e ai bimbi che si succhiava il pollice.

In questo caso si cospargevano le dita di succo di lë cucucciàllë marèijë, provocando l’abbandono di quel vizio, ma se s’intervenivano tardi i bimbi più grandicelli, si lavavano le mani continuando il loro vizio.

Stefano Marchetta

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Ago 21, 2014 - Articoli    No Comments

La scappellatë.

Come scritto in precedenza nell’articolo “ Lu tacchië” c’erano delle procedure da seguire per quando riguardava un fidanzamento.

Nell’ottocento a San Salvo e in altri paesi vicino c’era un atto chiamato “la scappellatë”, era usata dai giovani innamorati la cui felicità era ostacolata dai propri genitori quando era rifiutato lu tacchië.

Per attuare la scappellatë, il giovane innamorato doveva scegliere un momento dove il popolo era presente numeroso, la scelta ricadeva sempre o sull’uscita di chiesa la domenica o la processione di un Santo.

L’atto era semplice bisognava togliere in fazzoletto dal capo della ragazza davanti a tutti, questo gesto era un disonore per la famiglia della giovane che richiedeva nozze riparatrici, per la gioia dei due Innamorati.

Questa però era un’arma a doppio taglio, perché era usato a volte anche da chi rifiutato si fissava su una ragazza condannandola con questo gesto a un matrimonio non voluto.

Si raccontava che nel paese di M. di B. dopo che fu fatto l’atto della scappellatë, il fratello della ragazza torno a casa prese un coltello e ritornato in piazza e uccise il ragazzo che aveva disonorato la sua famiglia.

Stefano Marchetta

Mag 14, 2014 - Articoli    No Comments

Le mamme dicevano:

Io sono nato vicino alla chiesetta della Madonna delle grazie, la piazzetta della chiesa se pur in discesa, era anche il nostro campo di giochi, punto di ritrovo di tutti i ragazzi del circondario.

C’era una regola tornati da scuola, dopo aver pranzato si usciva per giocare fino alle ore 15:00, alla sua scadenza le mamme le prime volte con dolcezza ricordavano l’ora, poi si cominciavano a sentire ogni tipo di richiamo.

Qui sono riportate vari modi di dire delle nostre madri per le varie occasioni.

Jè të aijë fattë e jè më t’armàgnë. (Io ti ho fatto e io mi ti rimangio).

Uajemùrtë, ma ‘nghë sa ràcchië nen gë sìndë? (Sfaticato, ma con quell’orecchio non ci senti?)

Fèijë dë mezzë pedìunë. ( Figlio di metà ciascuno, inteso di padre e madre).

Vì aècchë sbesètë. ( Vieni qua persona insignificante).

Nen të fa acchiappà, chë së t’acchiàppë të vattë. (Non ti far prendere, perché se ti prendo le prendi di santa ragione).

Vì aècchë prèmë dë mò. (Questo è un imperativo dei più potenti”Vieni qua prima di adesso”!)

Jè t’àrvoddë gnè na cazzattë. (Io ti rivolto come un calzino).

La hallenë pètë lùnghë. (La gallina dalle gambe lunghe) Era il paragone che si faceva di un bimbo che giocando spensierato si allontanava da casa , come le galline che razzolando si allontanavano e potevano incontrare la volpe a 2 o 4 gambe..

Jè të scàcchë e targàcchë.  (Io ti scacchio e ti riattacco).

Cioè privare una pianta dei cacchi, cioè dei germogli falsi, per favorire lo sviluppo di quelli fruttiferi, in questo modo di dire ce la voglia di un genitore a far diventare un germoglio buono il proprio figlio, nel rimetterlo per la strada buona.

Së t’acchiàppë è mèijë chë të mènë da sàulë, ca jè të šduvuàijë. (Se ti prendo è meglio che ti picchi da solo, perché io ti riempio di botte)

Vì aècchë mort’accesë. (Vieni qua morto ucciso ). Definizione benevole di una persona capace e saggia.

Së tòrtë gnè la vèijë dë Munderècë. (Sei storto come la strada per andare a Monteodorisio).

Chìudë sa pòrtë, chë tì la càudë? ( Chiudi quella porta che hai la coda?).

Sànghë e làttë. (Sangue e latte). Si dice a un neonato quando ha il singhiozzo.

 Štìutë sa lìucë ca petrètë në fatèijë a l’Enèllë. (Spegni la luce che tuo padre non lavora a l’Enel).

Salìutë, crèscë sàndë ca diavelë già cë sì. (Salute, cresci Santo che diavolo già ci sei).

Si dice quando un bimbo starnutisce.

Arzèlë, ca po’ menè cachedìunë. (Metti a posto, perché può venire qualcuno).Questa è una delle frase che le mamma hanno detto e ancora dicono ai figli, che non riescono mai a sapere e a capire chi è questo qualcuno.

Të vè avulè sèmbrë dë vrùcchelë salìtë. (Hai sempre voglia di broccoli salati).

Jè të faccë vambìjë la fàccë. (Io ti faccio sentire un calore alla faccia per gli schiaffi che ti do).

Per dire avanzi pretese solo per il gusto di dare problemi.

Mà më të fàmë… Tèrë la càudë a lu cuànë.  (Mamma ho fame … Tira la coda al cane).

Së prùpetë nù squàcchië pedùcchië. (Sei proprio uno che schiaccia i pidocchi, un pignolo).

Chìudë sa pòrtë, chë aibbetë a lu culusseijë. ( Chiudi la porta, che abbiti al colosseo).

Mà më dòlë la pànzë… Và zì Cuštànzë ca të sbalànzë. (Mamma mi fa male la pancia … Vai da zio Costanzo che ti sbaldanzisce; cioè te lo fa passare).

Quando  nelle feste ci si riuniva e noi ragazzi cominciavamo a giocare esagerando con urla e corse, subito venivamo richiamati dalle nostre madri e in quell’attimo di silenzio mio zio Vitale Cilli, rivolgendosi a noi diceva :” Candë vulàssë sapà chë ammendàtë lë mammë”

(” Quando vorrei sapere chi ha inventato le mamme”).

 

Stefano Marchetta

Apr 17, 2014 - Articoli    No Comments

Lë seppiluchë (I Sepolcri)

Lë seppiluchë è un’usanza che si perde nella notte dei tempi, che ormai la modernità sta soffocando.

Esso consiste di mettere a germogliare grano, avena, ceci, fagioli, lenticchie, cicerchia, lupini e altri legumi, il giorno dopo carnevale in un recipiente, sulla cui base era posta della sabbia bagnata e poi posti al buio a farli germogliare, badando di mantenere umida la sabbia.

La scelta dei legumi è personale in base ai colori che piacciono perché ogn’uno ha un colore proprio, alcuni scelgono un solo tipo altri mischiano più semi.

Il mercoledì le donne dopo aver arricchito i germogli, che a volte superano i 30 o 40 cm, con piccoli fiori, lë seppiluchë sono portati nella chiesa di appartenenza per disporli intorno all’altare che è addobbato a festa, diventa il Santo Sepolcro di Gerusalemme.

A San Salvo i luoghi dove erano deposti lë seppiluchë, erano la chiesa di San Giuseppe, la Chiesa di San Nicola, il Calvario, la Chiesa della Madonna delle Grazie e la chiesa di San Rocco, ora le uniche che resistono è la chiesa della Madonna delle Grazie e il Calvario.

Dal giovedì Santo al Sabato Santo le famiglie in un percorso quasi circolare, grazie alla disposizione naturale dei luoghi da visitare,  in senso orario o antiorario, visitavano i sepolcri per pregare in religioso silenzio, perché la chiesa è il lutto, vige il silenzio, non si canta e le campane sono legate, per poi ritrovarsi vicino a casa, un popolo in cammino dove durante il pellegrinare si rincontravano amici e conoscenti scambiando i primi auguri per una Santa Pasqua.

Il senso religioso nella civiltà contadina è che il legume morto torna alla vita dal buio della morte con il suo germoglio, come Gesù vinta la morte, dal buio del sepolcro risorge nella luce di Dio.

Stefano Marchetta

Apr 2, 2014 - Articoli    No Comments

La Dottoressa

clelia

 

Un grande augurio ha mia figlia per il traguardo raggiunto.

Già laureata in ” Economia Bancaria,  Finanziaria e Assicurativa” con 110/110.

Ieri si è laureata in “Mercati ed Intermediari Finanziari”,

discutendo la tesi “Analisi quantitativa dell’impatto sullo Spread di fenomeni qualitativi” con 110/110.

Mar 9, 2014 - Articoli    No Comments

“Màzzë e chìzzë”

Il gioco di màzzë e chìzzë è un gioco non più di moda, ma giocato molto nei decenni passati.

Era un gioco che potremmo accostare al baseball americano per alcuni aspetti, le regole del gioco erano le seguenti, le squadre erano formate da due giocatori, dopo aver disegnato per terra due cerchi di un diametro di 40 cm a una distanza di circa 4/5 m, (queste sono le basi) servivano due mazze di circa 1 m (lë màzzë) e un tronchetto possibilmente di ulivo perché più resistenti di 25 cm e di diametro 3 cm (lu chìzzë).

Si faceva la conta per decidere a chi toccava, essere i battitori con le mazze e chi erano i lanciatori del pezzo di legno.

Il gioco iniziava con i battitori che si mettevano vicino ai cerchi e al loro fianco i lanciatori di cui uno aveva lu chìzzë.

I battitori tenevano il bastone appoggiato all’interno del cerchio per proteggerlo dal lanciatore che se vedeva il cerchio (la base) incustodita mettendoci il tronchetto al suo interno avevano la partita vinta.

Lo scopo del gioco era che i lanciatori potevano tirare in tutti i modi per far andare lu chìzzë all’interno de cerchio, mentre i battitori dovevano colpire lu chìzzë e mandarlo il più lontano possibile.

Così mentre i lanciatori lo andavano a raccogliere, i battitori iniziavano a contare i punti correndo da una base all’altra, era compito del lanciatore recuperare lu chìzzë e lanciarlo al compagno per fermare il punteggio o cercare di lanciarlo direttamente dentro il cerchio, rischiando che se la parabola era buona il battitore la poteva colpire di nuovo o si fermavano nella base per evitare di perdere la partita.

Altre regole, era partita vinta, se nel colpire lu chìzzë si spezzava o non era possibile il suo recupero.

Spesso capitava che il battitore colpisse così di forza che la màzzë gli scivolava di mano dando la possibilità ai lanciatori di mettere lu chìzzë nel cerchio e vincere diventato loro battitori.

Possiamo dire che era un gioco pericoloso perché non si sapeva mai che traiettoria avrebbe preso lu chìzzë, molti erano colpiti in malo modo con tagli e contusioni, senza mettere in conto finestre, auto, persone di passaggio e altro che era colpito.

Forse se si fosse cambiata lu chìzzë con una pallina e non giocato più nelle strade, forse sarebbe sopravissuta come gioco, forse oggi si giocava a baseball, forse ….

Stefano Marchetta

 

“Loris Francesco Capovilla”

il vescovo Loris Capovilla

Dire, io ero lì fa effetto, anche se avevo solo otto anni quando il vescovo Capovilla venne nella piccola chiesa della Madonna delle Grazie a San Salvo, di fianco la casa dei miei genitori nel 1970.

in occasione della benedizione della chiesetta appena restaurata.

Nella foto don Cirillo e Antonio Artese.

Loris Francesco Capovilla (Pontelongo, 14 ottobre 1945) è un arcivescovo cattolico italiano, è il secondo ordinario diocesano italiano più anziano vivente.

Verrà creato cardinale da papa Francesco il 22 febbraio 2014, divenendo in tal modo il membro più anziano del collegio episcopale.

Per oltre un decennio, dal 15 marzo 1953 al 3 giugno 1963, è il segretario particolare di Angelo Giuseppe Roncalli, prima quando questi, appena creato cardinale, viene nominato nuovo patriarca di Venezia, poi, dopo aver partecipato come suo conclavista al conclave del 1958 indetto per l’elezione del successore di papa Pio XII, viene confermato, la sera del 28 ottobre 1958, dal neoeletto papa Giovanni XXIII, quale suo segretario particolare, incarico che terrà fino al momento della morte del pontefice.

Papa Paolo VI lo nomina, il 26 giugno 1967, arcivescovo metropolitano di Chieti e amministratore apostolico della diocesi di Vasto (oggi arcidiocesi di Chieti-Vasto). Riceve la consacrazione episcopale, il successivo 16 luglio, nella basilica di San Pietro in Vaticano, dallo stesso pontefice.

Stefano Marchetta

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Feb 12, 2014 - Articoli    No Comments

“’Ndruccunètë”

‘Ndruccunètë, tradotto in italiano, significa di colore turchese, ma in dialetto era sinonimo di stupidità.

La parola in voga un tempo era nata quando il contadino dava il ramato con la pompa a spalle alla vigna, il prodotto era venduto a pezzi che poi dovevano essere sciolti nell’acqua.

Nel dare il ramato, il contadino doveva fare il lavoro girando intorno alla vite tenendo il vento sempre alle spalle che allontanava dalla persona stessa la nuvola d’acqua che la pompa sprigionava, se girava al contrario, il vento lo colorava di quel bel blu tendente al verde.

Tornando a casa per quando uno si lavasse, le persone notavano i vestiti colorati, divertendosi a prendere in giro il mal capitato e con riferimento alla favola di Pinocchio qualcuno più istruito, osava anche la battuta: ” Mo pàssë la fatë turchènë”!

Stefano Marchetta

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Gen 6, 2014 - Articoli    No Comments

Epifania

i Magi

 

Molte volte mi capita di leggere su Facebook o articoli su giornali, dove persone di un’Italia sempre più multirazziale, lamentarsi a gran voce, che nelle scuole alcuni nostri simboli religiosi, come la croce, il presepe e l’albero di Natale devono essere eliminati, cancellati.

Penso che in una nostra realtà, dove esaltiamo un uomo barbuto che nel 1930 la Coca Cola pensò per uso pubblicitario vestirlo di rosso come le sue lattine e noi come pecoroni a bocca aperta lo abbiamo accettato, esaltato e messo al primo posto nel Natale, occupando il ruolo del nostro San Nicola, considerato protettore dei bambini ai quali lui distribuiva doni, che è sempre stato rappresentato vestito di verde, rubandone la sua identità.

Oggi è l’Epifania di Gesù, cioè oggi noi festeggiamo la sua rivelazione al mondo con l’arrivo dei Magi, invece anno dopo anno, si sceglie la vecchia sulla scopa, storpiando il nome Epifania, prima divenuta Pifania e poi Befana anche lei ha rubato tutta la scena al Bambinello, in questo giorno non più religioso ma pagana.

L’origine di questa figura vecchia va connessa alle tradizioni agrarie che rappresentava la morte e la rinascita della natura, i romani credevano che nelle notti dopo il solstizio d’inverno figure femminili volassero sui campi appena seminati per propiziare i futuri raccolti.

Alla fine Madre Natura diventava secca e vecchia da poter essere bruciata e propiziare la sua rinascita nella nuova primavera, ecco perché in alcune piazze stasera si brucia un fantoccio dall’aspetto di befana.

Ecco perché i popoli stranieri hanno vita facile nel soffocare le nostre tradizioni, il motivo è che sono già fragili dentro di noi, quasi a vergognarcene delle nostre origini e del nostro credere.

Stefano Marchetta

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