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Mar 24, 2016 - Articoli    No Comments

Gemellaggio San Salvo con Svenskerenvar (Ungheria).

Parlando con alcuni giovani, anziani e persone non del luogo, ho capito che non tutti sanno cosa sia quel legno posto nel centro della nostra città, tra la diramazione di via Roma e Corso Umberto I.

Le Rivoluzioni del 1989, a volte chiamate l’Autunno delle Nazioni, furono un’ondata rivoluzionaria avvenuta nell’Europa Centrale e Orientale nell’autunno del 1989, quando diversi regimi comunisti furono rovesciati nel giro di pochi mesi. La città di Svenskerenvar (Ungheria) cercò da subito di aprirsi al mondo nuovo, cercando molti gemellaggi con città della vecchia europea per facilitare la crescita della loro città. Nel 1992 chiesero alla città San Salvo e all’allora sindaco Mariotti Arnaldo, di gemellarsi con loro, la delegazione fu ospitata alloggiato nell’asilo nido di San Salvo Marina. Loro si portarono dall’Ungheria un tronco d’albero, il legno fu scolpito e modellato sul suolo ospitante per dare un segno più tangibile di una nascita di fratellanza direttamente sul luogo. Nell’agosto del 1992 il monumento che sigillava il gemellaggio fu posto nell’angolo ovest del monumento dei caduti in guerra. Mentre nella loro città in Ungheria in una parte di nuova costruzione, sempre in legno un monumento pieno di frecce su cui ci son scritte le distanze in km e i nomi delle città gemellate. Poi nel tempo per molti anni la nostra città mantenne vivo il gemellaggio, ospitando e mandando delegazioni in Ungheria. Io ebbi la fortuna essendo un componente della Banda Città Di San Salvo, di andarci due volte a distanza di anni, fui testimone personalmente della voglia di cambiamento nel popolo ungherese, che aveva vissuto sotto il regime filorusso per oltre trent’anni.

Stefano Marchetta

Mar 17, 2016 - Articoli    No Comments

“Quando si sposava una figlia”.

In un tempo non tanto lontano a San Salvo, quando si sposava una figlia, era un momento doloroso, non era vissuto con gioia, perché quel giorno si perdeva una figlia.

Il giorno del matrimonio mentre tutti i parenti andavano a festeggiare i novelli sposi, i genitori della sposa restavano a casa, i consuoceri si dovevano preoccupare di portare loro tutte le portate servite durante il pranzo, poi dopo il matrimonio non uscivano da casa per otto giorni in segno di lutto.

La cattiveria popolare aveva creato un detto al quando offensivo riferito ai genitori della sposa: ” Pòrtë la scràufë a lu vèrrë” (Porta la scrofa al verro), facendo diventare un evento bello in qualcosa di cui ci si doveva vergognare.

Si racconta che a dispetto delle malelingue, nel dopo guerra, il primo a non curarsi di tutto ciò fu la famiglia Artese in occasione del matrimonio della loro figlia Francesca con Vincenzo Granata, aprendo la porta a una crescita culturale che nel tempo ci ha portato alle bellissime cerimonie cui ora siamo chiamati a partecipare.

Stefano Marchetta

Feb 28, 2016 - Articoli    No Comments

I BLOCCHI di MARMO della CHIESA di SAN GIUSEPPE.

Chiesa San Giuseppe

Le leggende fanno parte del patrimonio culturale di tutti i popoli, appartengono alla tradizione orale e nella narrazione mescola il reale al fantastico, non raccontano mai dei fatti totalmente inventati, contengono al loro interno sempre una parte di verità.

La chiesa di San Giuseppe fu ingrandita e rifatta come la vediamo adesso sulle mura della vecchia chiesa, che a sua volta era stata ampliata sulla struttura di una piccola chiesetta, così senza interrompere la linea che unisce presente e passato, i lavori furono fatti accavallo degli anni ’50 e ’60, il parroco don Cirillo Piovesan, si occupo delle donazioni, fatte non solo dai residenti, ma anche dai tanti emigranti Sansalvesi sparsi per il mondo.

Se si osserva con attenzione, la facciata della chiesa di San Giuseppe è fatta tutta in mattoni rossi, ma guardando bene con attenzione, si notano dei blocchi di marmo messi senza una regola, senza uno schema, messi man mano senza uno spiegabile motivo ornamentale, come se di tanto in tanto finissero i mattoni e si metteva un blocco di marmo.

A tal proposito voglio farvi partecipe di un mio ricordo, porre l’attenzione su un racconto che sentii narrare da persone anziane quando ero ragazzino, davanti al bar Roma mentre aspettavo i miei amici per giocare a biliardino, ascoltai con attenzione questa sorte di leggenda paesana, che rimase indelebile nella mia mente.

Nel dialogare fra loro la spiegazione che si dava, era quella che i blocchi rappresentano delle firme, loro dicevano che ogni muratore che partecipò alla costrizione della chiesa, ne pose una, quasi a voler scrivere in modo indelebile il suo nome nel momento che riteneva più appropriato, mentre il Tempio saliva maestoso verso il cielo.

Ricordo che indicavano i vari blocchi e dicevano anche i nomi dei vari operai che avevano partecipato alla costruzione della chiesa.

Non mi sono mai posto negli anni di indagare sulla veridicità del racconto, mi piace pensare che le varie posizioni in altezza dei blocchi sarebbero state dettate dal grado, i manovali in basso e via via, che si saliva nella costruzione fino ai capi mastri muratori.

Stefano Marchetta

Feb 18, 2016 - Articoli    No Comments

Il Vincolo di Mandato

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Credo che uno dei problemi dei nostri politici sia la non coerenza con il proprio elettorato, perché sembra che l’unica spinta che loro cercano è quella di arrivare a essere eletti a una carica istituzionale.

Poi come si usa dire “ Buona notte ai suonatori”, in questo caso agli elettori che hanno abboccato alle chiacchiere vendute durante le elezioni.

Ultimamente sempre più politici cambiano con disinvoltura vari schieramenti, sia per entrare in una situazione di potere o per un interesse personale.

Non è giusto che si porti voti a un partito che non avrebbe mai preso quelle preferenze, dando modo a leggi non volute di essere approvate.

Basta pensare che negli ultimi due anni 235 politici hanno cambiato casacca, questo perché non esiste una legge che applichi il vincolo di mandato.

L’articolo 67 della Costituzione Italiana dice:

“Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.

Se invece ci fosse un modo per revocare il nostro voto al parlamentare o al partito scelto, sicuramente i politici eletti starebbero più attenti a ciò che promettono, inoltre s’impegnerebbero a comunicare le proprie scelte future ai propri elettori.

Stefano Marchetta

Feb 10, 2016 - Articoli    No Comments

“Lu cavàllë dë Vàlerië”

La famiglia Torricella aveva molti cavalli per le varie attività logistiche che svolgeva nel dopo guerra, dal trasporto merci al carro funebre, fino a quando non sono passati ai camion, abbandonando gli equini usati per tanti anni.

 “Më sìmbrë lu cavàllë dë Vàlerië” è un’espressione popolare comune, usata in situazioni ben precise, che man mano che il tempo passa se ne dimentica l’origine, è ripetuto e adoperata in modo appropriato anche da chi non sa l’inizio di quel modo di dire.

Nel caso del detto “Më sìmbrë lu cavàllë dë Vàlerië” (Mi sembri il cavallo di Valerio) la similitudine viene ed è sempre stato usato San Salvo per indicare un uomo che va o vuole avere rapporti con più donne o si atteggi a grande seduttore o in episodi plateali di burle tra amici. Il tutto prende inizio dal fatto che Valerio Torricella tra i tanti cavalli che possedeva, aveva sempre avuto uno stallone da monta per le sue cavalle. Le prestazioni dello stallone erano offerte mediante compenso ai tanti contadini che portavano le loro cavalle per farle coprire sperando nella nascita di un bel puledro. Mio suocero che visse con questa famiglia per molti anni, mi ha elencato i nomi di alcuni stalloni che loro hanno avuto: Mazzolino, Monello e altri, fino all’ultimo che si chiamava Lucifero.

Stefano Marchetta

Mio Padre, Campo di Prigionia 133.

Il campo 133 era situato a Orano (Algeria), era il luogo, dove gli americani mandarono i prigionieri che loro fecero nel momento dello sbarco in Sicilia, fino alla fine della guerra. Lo sbarco in Sicilia (nome in codice operazione Husky) fu attuato dagli alleati sulle coste siciliane il 10 luglio 1943, durante la seconda guerra mondiale, con l’obiettivo di aprire un fronte nell’Europa continentale, invadere e sconfiggere l’Italia fascista e, infine, concentrare in un secondo momento i propri sforzi contro la Germania nazista. Fu la prima operazione delle truppe alleate sul suolo italiano durante la guerra e segnò l’inizio della campagna d’Italia. Quando in seguito parlammo degli eventi successi durante il conflitto mondiale, visto gli obbrobri fatti dai tedeschi, mio padre pensando a quanti amici non tornarono, con gli occhi lucidi, mi disse:

“Sono stato fortunato a cadere prigioniero degli americani”.

Marchetta Vito-Prigionia Mio padre il 2° da sx

Marchetta Vito-Prigionia_001 Mio padre il 1° da dx

Marchetta Vito-Prigionia-002 Mio padre il 2° da sx

Marchetta Vito-Prigionia-3 Mio padre il 1° da dx accosciato

Gen 25, 2016 - Articoli    No Comments

Saggèccë e Mindrecènë

Difendiamo le nostre tradizioni, i nostri prodotti, le nostre radici.

Vedo sempre più famiglie scegliere il Mc Donald, sempre più ragazzi scelgono il Kebab, a discapito di un bel panino con la porchetta o con la ventricina o con una bella salsiccia.

Passa il tempo, passano le generazioni, ma quella sensazione che l’erba dal vicino sia sempre più verde rimane, sembra quasi una vergogna esaltare le proprie origini, al punto che più di una volta ho sentito dire da persone native di San Salvo, sono di Vasto vicino a Pescara.

Ultimamente mi è capitato un episodio, ero seduto in una sala d’aspetto, quando vidi entrare un ragazzo di San Salvo conosciuto anni addietro, (conoscevo il nonno che aveva fatto la guerra con mio padre e i genitori amici d’infanzia, tutta gente di San Salvo) che si diresse verso i distributori automatici per ricaricarli dei prodotti mancanti, mi avvicinai dicendo “Gna è, së cagnàtë fatèijë”?

Lui guardandomi rispose con un’accendo del nord “Come non capisco”!

Capii che non mi aveva riconosciuto, riformulai la domanda calcando di più l’accento sansalvèsë, “Gna è, së cagnàtë fatèijë”? Per poi buttarla sulla risata e sulle presentazioni, ma lui dal canto suo rispose un po’ scocciato con un accento chiaramente milanese “ Scusami ma non la capisco”, io rimasi senza parole e me ne tornai a sedere a riflettere sull’accaduto, cercando un perché.

Allora mi chiedo perché ci offendiamo e ci arrabbiamo quando politici stranieri con la scusa dell’Europa unita, ci chiedono di produrre formaggi senza latte, eliminare gli insaccati e altro, cose che fanno parte del nostro patrimonio culturale, della nostra bella Italia da sempre?

Ci dovremmo arrabbiare perché ci chiedono di mettere sulle nostre tavole alghe e insetti.

 

Stefano Marchetta

Gen 18, 2016 - Articoli    No Comments

“I Fratelli di San Vitale”

Il passaggio delle tradizioni, dei racconti e dei segreti è stato sempre fatto in un modo verbale tra genitori e figli, che nella maggior parte delle volte avviene, nei momenti in cui i figli sono nella fase in cui vogliono cambiare il mondo e il vecchio è da buttare. Personalmente ho avuto la fortuna di crescere con un padre che era un pozzo di ricordi e di aneddoti ed io predisposto all’assorbimento e all’ascolto di tutto ciò che lui mi raccontava. In molti nel crescere si rendono conto di aver sbagliato a non aver prestato la dovuta attenzione ai propri vecchi e ora è tardi per chiedere di nuovo, perché ormai sono andati via.

Questo succede ai giovani di tutte le generazioni, divenuti anziani, nei loro ricordi rimbalzato racconti sfocati, notizie frammentate, un miscuglio d’informazioni miste di realtà e leggenda, che a volte mischiandole, cercano di trasmettere ai propri figli o da raccontare, così di generazione in generazione con il passare del tempo, si trasforma un fatto vero in un racconto leggendario.

Come la narrazione che sentivo tempo fa, fatta da una persona anziana, nel racconto affermava, mescolando il reale e il meraviglioso, che i Santi Cosimo e Damiano (Siria), Panfilo (Sulmona), Salvo (San Salvo), Vito (Mazara), Emidio (Germania) erano fratelli di San Vitale (Milano).

Non è difficile capire che tutto ciò è impossibile poiché i vari santi sono vissuti in anni diversi e in luoghi distanti tra essi, sì erano fratelli ma nella fede di un unico Padre Celeste.

In conformità a questo i vari paesi li veneravano e si gemellavano e s’incontravano per rafforzare il loro credo per cui un tempo portava il proprio Santo in processione a trovare il Fratello in un altro paese, era per molti la possibilità di avere più Santi da pregare, avere qualcuno in più cui rivolgersi nell’attimo della loro supplica, perché Fratello del loro Santo Padrone.

Stefano marchetta

Gen 11, 2016 - Articoli    No Comments

“A Sàndë Sàlvë …”

“A Sàndë Sàlvë chi zë sàlva salvë, aèllë z’aìusë l’accettarèllë e lë picciafùchë”.

(A San Salvo ce chi si salva e chi no, là si usa l’accetta e i fiammiferi).

Si riferiva al fatto che a quei tempi a San Salvo e anche in altre parti, ci si vendicava con la complicità della notte, tagliando con l’accetta le viti o bruciando le messi.

Questa è la frase che i fratelli Travaglini si sentirono dire da un vecchio paesano 100 anni fa quando da Casoli decisero di trasferirsi con i loro famigliari a San Salvo.

Nel leggere questo trafiletto su un libro prestatomi da Antonietta Marcello, fece riaffiorare un vecchio racconto di mio padre fattomi anni fa a conferma di quel detto.

Lui mi raccontava di un signore che chiameremo X, che posizionatosi sul muraglione tra Strada Fontana e via Orientale che offriva una visuale libera come punto alto del paese, in una sera del mese di giugno di tanti decenni fa, si sfregava le mani e le allungava a mò di riscaldarsi, mentre in lontananza nella piana del Trigno si vedeva una luce brillare nel buio, erano covoni di grano in attesa della trebbiatura che bruciavano.

Stefano Marchetta

 

Nov 25, 2015 - Articoli    No Comments

Angelo e Angela Smargiassi

Tempo fa una signora sentendo il mio parlare dialettale mi chiese “A c’appartìnë”?

Capito chi ero esclamò: “ Allaurë, sì lu nupàutë dë Àngelë e Angiulìnë lë panattirë, sàndë ggèndë candë ggèndë ànnë sfamìtë”.

(Allora, sei il nipote di Angelo e Angela i panettieri sante persone, quanta gente hanno sfamato).

Visto in chiave odierna sembra una frase senza senso, uno pensa: ”Tu fai il panettiere vendi il pane io lo compro, dove sta la cosa eccezionale”?

I miei zii aprirono il panificio al ritorno in Italia, dopo un periodo di emigrazione in Australia.

Basta pensare che un tempo San Salvo era un paese a carattere contadino, dove le culture agricole, erano diversificate in grano, uva e ulivo (poi arrivarono le pesche), questo perché bisognava almeno avere un raccolto sicuro in un periodo dell’anno in base alla variabilità del tempo, per far campare la propria Famiglia.

In attesa del raccolto i miei zii facevano a tutti la lebbràttë (il libretto) dove era annotato la quantità di pane, pizze e altro che le famiglie prendevano durante l’anno a credito e a fiducia, il debito era saldato con il primo raccolto buono.

In poche parole loro anticipavano e rischiavano il capitale per far mangiare tante famiglie, come dei moderni samaritani applicarono l’insegnamento di Gesù:

“Ama il prossimo tuo come te stesso”.

Ricordo quando da piccolo ero mandato a prendere il pane, molte volte mi trattenevo nel retro della panetteria, a guardare mio zio che con abilità toglieva con la pala quel bel ben di dio dal forno o ad aiutarlo a spostare le ceste piene di pagnotte e filoni, inebriandomi di quella fragranza di pane appena cotto.

Così ancora oggi, ogni qual volta che entro in una panetteria nel sentire quel profumo di pane appena sfornato, il mio pensiero corre subito al ricordo dei miei zii Angelo e Angela.

Stefano Marchetta

loverich.sung@mailxu.com