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Dic 8, 2013 - Articoli    No Comments

Lu tàcchië

Lu tàcchië, grosso ceppo di legno che la famiglia metteva da parte per poterlo ardere nelle lunghe giornate d’inverno.

tacchie

Così importante da diventare simbolo propiziatore di un eventuale matrimonio, era messo notte tempo davanti alla porta della casa, dove viveva la giovane su cui il giovanotto aveva posato gli occhi.

Bisogna calarsi in quei tempi, dove era difficile parlare con una ragazza, dove le classi scolastiche non erano miste, non come adesso che tra Chat, Facebook è più facile interagire, dove ragazzi e ragazze vanno prima a letto e poi si chiedono i rispettivi nomi, ma erano altri tempi.

La mattina il genitore se aveva piacere che il matrimonio si facesse, considerando che il paese era piccolo la gente parlava si sapeva chi era il promesso, così prima di rientrare lu tàcchië davanti ai paesani esclamava:

“ Cà ‘ndecchiàte la fèija mà, mò lë da štecchià”

(frase che significava chi ha posato il ceppo, ora si deve assumere le sue responsabilità).

Così a breve il giovane poteva recarsi conoscere la futura sposa ma non da solo ma doveva essere accompagnato da lu Mmuasciatàurë

(Ambasciatore o Ruffiano) che nell’occasione indossava le calze rosse (dal latino Rufulus uomo dai capelli rossi) persona che era predisposta o per amicizia o per denaro a combinare matrimoni .

Poi erano portati i genitori per contrattare la dote a mettere nero su bianco come un normale contratto, beni che erano dati allo scopo di indennizzare la donna che uscendo dalla famiglia di origine, perdevano il diritto all’eredità paterna, che con la riforma del diritto di famiglia fu vietato nel 1975.

dote

Tradizionalmente nella società contadina la dote era costituita da una cassapanca contenente il corredo che consisteva in un numero di lenzuola, tovaglie piatti ecc. e altre suppellettili per la casa, che variava in base al ceto sociale.

Nei giorni antecedenti il matrimonio, la dote veniva esposta (Spàsë) e poi portata nella casa dei futuri sposi da donne con il canestro in testa sfilavano per far vedere a tutti quando era ricco e abbondante il corredo, o era portato con un carro addobbato a festa.

Non sempre era così, a volte la reputazione del giovane era un biglietto da visita al quando brutta che la stessa ragazza chiedeva ai genitori di non fare il matrimonio o era una questione di famiglie del non uguale ceto o il problema era che alcune famiglie avevano una nominata non accettabile, di conseguenza lu tàcchië non era rientrato e notte tempo l’innamorato andava a riprenderselo in attesa di maggior fortuna.

Un augurio dei genitori non è cambiato nel corso degli anni ed è questo:

” Peijètë ìunë rècchë, bèllë e nobbelë, peccà la ròbbë ‘n quìndë e farzèlë ‘n quìndë e tenàrlë

(Prenditi una ricca , bella e nobile, perché la proprietà, un conto e farsela un conto e già tenerla, ma alla fine vince sempre l’amore).

Stefano Marchetta

“La raccolta dell’ulivo tra presente e passato”

 

La raccolta dell’ulivo una volta era totalmente manuale, cera bisogno di molta manodopera, le famiglie si riunivano per aiutarsi l’un l’altro.

Il gruppo di persone intende al raccolto si dividevano in due gruppi, la prima operava in alto mediante l’aiuto delle scale e raccoglievano le olive a mano e poi le mettevano dentro la “Panarèllë “un marsupio di stoffa legata ai fianchi, una volta riempita era svuotata.( Come si vede nella foto)

Raccolta Ulivo

Le persone a terra avevano il compito di raccogliere le olive dai rami più bassi, svuotare le “Panarèllë” scambiandole con quelle vuote per evitare che le persone perdessero tempo nello scendere dalle scale, raccogliere per terra le olive che involontariamente cadevano dall’alto e se cera tempo passare a lu “Crùvuellë “ le olive per pulirle da rametti e foglie e poi metterli nei sacchi.

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Poi arrivo l’utilizzo delle reti e in seguito i rastrelli in plastica che snellirono il processo del raccolto, ora l’utilizzo degli abbacchiatori si è velocizzato il lavoro, riducendo la manodopera ed eliminando del tutto le scale, che negli anni hanno fatto collezionare molti infortuni a persone che sono cadute dalle piante mentre le utilizzavano.

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Il risultato finale non è cambiato, l’unico scopo è riportare dal frantoio l’olio nelle proprie case.

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Stefano Marchetta

 

Ott 4, 2013 - Articoli    No Comments

” ‘Ndòccë ”

‘Ndòccë – sono fascine di canne legate fra di loro con all’interno rametti di ginestro,  una volta accese le fascine a un lato il crepitio delle ginestre, fanno da sotto fondo alla processione che si svolge la vigilia di Natale ad Agnone (Is).

Nel gergo giovanile è inteso anche per dire ti sei fumato uno spinello.

Ago 20, 2013 - Articoli    No Comments

Il Ferragosto

La parola Ferragosto deriva dal latino, Feriae Augusti, la festa pagana, introdotta in onore dell’imperatore romano Augusto, con cui, dal primo giorno del mese di agosto si celebrava la raccolta dei cereali.

Tale celebrazione che di solito veniva festeggiata in settembre alla fine del ciclo della stagione estiva, venne spostata dall’imperatore Augusto all’inizio del mese che porta il suo nome.
Le Feriae Augusti si dipanavano tra riti collettivi e banchetti, bevute ed eccessi sessuali, a cui tutti potevano partecipare, comprese schiavi e serve.

Queste festività che raggiungevano il loro picco il 15 del mese, erano così radicate che la Chiesa decise di cristianizzarle, piuttosto che provare a sradicarle.
Così, nel secolo VI, le Feriae Augusti vennero assorbite e trasformate nella celebrazione dell’Assunzione in cielo di Maria Vergine che, terminata la sua vita terrena, fu elevata alla gloria celeste con l’anima e con il corpo.

Lug 27, 2013 - Articoli    4 Comments

“UNO MONDA LUNA” (LA CAVALLINA) i giochi di una volta.

una monta luna

 

Lo svolgimento è semplice: deciso dopo, una “conta” il giocatore che farà da “cavallina” (colui che restando fermo con le mani poggiate alle ginocchia e la testa in giù ben coperta da eventuali contatti con i saltatori, assume la posizione dell’attrezzo ginnico, fungendo come appoggio, attende i compagni di gioco, che eseguita una breve corsa, poggiandogli le mani sulla schiena si danno slancio per scavalcarlo mediante un salto a gambe divaricate) e l’ordine di fila e di salto. 

Se durante il salto si casca per terra o si salta male o non si salta proprio il giocatore, va sotto.
Quando un giocatore in seguito a errore va sotto.
Il capo fila dice comando, tutti gli altri sono tenuti a ripetere ad alta voce il comando identico a quello pronunciato dal capo fila.
Se un giocatore dimentica di pronunciare il comando o lo pronuncia in maniera errata, va sotto.

 

               “I Comandi”

 

-Uno: monda luna (salto semplice).

-Due: monda il bue (salto semplice).

-Tre: la figlia del re (salto semplice).

-Quattro: Spazzolini di Bologna ch puliscono per terra (salto e nel ridiscendere a terra con le dita a mò di pennello pulire per terra).

-Cinque: tre pugni (saltando si colpisce con i pugni la schiena della cavallina e saltando colpire con il tacco il sedere).

-Sei: l’incrociatore ( saltare atterrando con le gambe incrociate e rimanere in quella posizione finché non saltano tutti facendo attenzione a non urtare nessuno dei giocatori, pena prendere il posto della cavallina).

-Sette: il suonatore di violino (non si salda ogni giocatore deve passare un dito lungo la schiena della cavallina e poi colpire il sedere con le dita tirando un colpo secco di striscio).

-Otto: i soldatini di piombo (si salta e si rimane dritti fino a quando non saltano tutti, come l’incrociatore).

-Nove: batti mano ( salto semplice e in volo battere le mani).

-Dieci: uccello rapace (chi salta nell’appoggiarsi sulla schiena deve chiudere le mani come artigli).

-Undici: pasta e ceci (salto semplice).

-Dodici: lo scappa, scappa (questa si aggiunge quando tutti sono bravi per dare la possibilità alla cavallina di liberarsi, tutti saltano rimanendo sul posto stando attenti a non urtarsi, nel momento che salta l’ultimo, la cavallina con uno scatto deve cercare di afferrare chi dovrà prendere il suo posto in un breve tratto).

Stefano Marchetta

 

Lug 6, 2013 - Articoli    No Comments

Lu Štaijë (LO STAIO)

A San Salvo come nel resto d’Italia gli stipendiati erano i maestri, impiegati postali, comunali, ecc. che costituivano un buon partito perché come si diceva una volta tenavènë lu puànë assecurètë (avevano il pane assicurato).

L’artigiano viveva in virtù del baratto fatto con i contadini, forniva il proprio lavoro in cambio dei prodotti della terra, se non poteva essere pagato in denaro.

Vigeva una forma di pagamento detta dë lu Štaijë (staio) recipiente riempito fino all’orlo, era la sesta parte del contenuto di un sacco (come spiegato in un altro articolo, era la sàmuë  120 Kg) cioè nu muzzattë (mezzetto o moggio).

Alla raccolta del grano, le quantità concordate, remunerava il lavoro prestato dall’artigiano (sarto, barbiere falegname, maniscalco, ecc),nell’arco di un anno.

Stefano Marchetta

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Lu Štaijë (LO STAIO)

 

 

Lug 5, 2013 - Articoli    No Comments

“La coštë dë màijë”

La coštë dë màijë (la salita di maggio), in questi tempi moderni in un mondo, dove abbiamo frigo e freezer pieni di ogni ben di Dio e supermercati aperti 24 su 24, è una frase senza senso.

Un tempo il mese di maggio era uno dei più tristi dell’anno, perché le dispense erano vuote o quasi vuote, per un errore di calcolo o per imprevisti ai quali si poneva riparo vendendo un po’ di grano.

L’unico pensiero era arrivare alla mietitura, per ricominciare l’anno avendo grano per fare il pane e la pasta e altro.

Nell’attesa si controllavano i campi alla ricerca di màrrë (spighe di grano) che si erano riempite in anticipo, le raccoglievano in piccoli mazzetti e si mettevano al sole a essiccare, per poi batterli raccogliere il grano, macinarlo e avere un po’ di farina per tirare avanti, per superare la coštë dë màijë.

 

Stefano Marchetta

Giu 30, 2013 - Articoli    No Comments

Zì Angèlë, il padrone del cinema “Biagino”.

Era 1970, ho la sensazione di tornare fanciullo in mezzo a questo ricordo che nonostante l’incombere degli anni è ancora vivo.

Avevo all’incirca otto anni, noi ragazzi stavamo giocando a pallone in un campo ricavato in mezzo a piante di ulivo, quando si senti forte una voce che gridava “ uagliò” (ragazzi), qualcuno di noi urlò che era il padrone del terreno e ci fu un fuggi, fuggi.

Solo io e altri due rimanemmo fermi perché avevamo riconosciuto zì Angèlë, il padrone del cinema Biagino, che con la mano faceva cenno di avvicinarci.

Quando fummo vicino a lui, ci chiese di aiutarlo a trasportare la legna, poiché la sua bianchina non poteva arrivare più vicina, ci armammo di buona volontà e incominciammo ad aiutarlo, finito il lavoro, lui ci invitò ad andare quella sera al cinema che saremmo entrati gratis, non era una cosa di tutti i giorni andare a vedere un film.

Tornati a casa e raccontato eccitati dell’accaduto, le nostre mamme ci ripulirono e lavati e pettinati ci trovammo all’appuntamento, appena arrivati zì Angèlë, ci invito a entrare subito perche le luci si erano appena spente.

Il film incominciò con una panoramica in riva al mare e delle figure in lontananza che correvano verso la telecamera, man mano che le figure divenivano più nitide, noi cominciammo a sgomitare fra noi perché quelle figure erano ragazze nude che sembravano voler uscire dallo schermo, non era un film hard era solo ricco d’immagini di nudi, era troppo per noi.

Quando si accesero le luci, i nostri volti erano rossi e sudati, tutti ci notarono e ogn’uno fece la sua battuta e l’ultimo esclamo “ Pìurë a lë pìggë i vè, la tàscë” (anche alle pulci viene la tosse) riferito a noi, tutti risero e incomincio il secondo tempo.

Tornammo a casa, felici che per una sera eravamo entrati nel mondo degli adulti, facemmo e vedemmo qualcosa che a quei tempi era un miraggio per ragazzi della nostra età.

Per noi significo scoprire un mondo nuovo, fantastico … meraviglioso.

Grazie zì Angèlë.

 

Stefano Marchetta                                          giardiniera

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