Gna štinghe? Morte de fàme e cecàte de sònne!
(Come sto? Affamato e assonnato!)
La Trappola del Tampone.
Cugini alla villa comunale anni ’90.
Fabrizio Andrea e Petrucci Gerardo.
Terreni intorno a San Salvo.
La Marchesa Caterina Gerini a San Salvo.
Generalmente quando si parla di terreni agricoli a San Salvo, ho notato che per la maggiore ci si riferisce con toni accesi a quando il Marchese D’Avalos vendette i terreni sottobanco e a quando il nuovo proprietario, con la complicità di alcune persone preposte a tutelare i contadini, ci cacciò dai terreni che le nostre famiglie lavoravano già da diverse generazioni.
Sinceramente difficilmente sento parlare della Marchesa Caterina Gerini (09-06-1912/ 16.11.2012), eppure ha fatto del bene a tante famiglie. Forse perché non abitava in zona in un palazzo signorile a testimoniare la sua presenza o forse perché non ci fu speculazione ai danni dei contadini da richiedere scioperi e manifestazioni da darne una certa risonanza, quando vendette a un prezzo onesto i sui terreni ai suoi affittuari facendoli diventare finalmente proprietari del proprio lavoro e del sudore lasciato di vari antenati che lo avevano arato nel tempo. Trattativa di vendita che si concluse davanti al notaio Vittorio Colangelo negli anni ’80.
La Marchesa quando veniva da Roma per curare i propri interessi, dovendosi trattenere per periodi più o meno lunghi, veniva ospitata dal Marchese D’Avalos nella Casina (ora ristorante Vecchio Casale) in contrata Bufalara.
Nelle vicinanze della Casina c’era la masseria del mio bisnonno Fabrizio Carmine, dove viveva sua moglie Marchetta Aurelia vedova, con i suoi 11 figli. Tutte volte che veniva a San Salvo, la Marchesa si recava a trovare la mia bisnonna di cui aveva una forte stima e ammirazione per la sua forza nell’andare avanti senza un marito (stiamo parlando inizi ‘900).
Lei amava fermarsi a volte a pranzo, dicendo che così si sentiva meno sola, era come se fosse a casa nel sentire tutto quel vociare di ragazzi che riempivano tutta la cucina, perché avendo 13 figli era meno nostalgica in quei momenti lontana dal suo focolare domestico, con tanti adolescenti intorno a lei.
Ho sempre desiderato dare un volto a questa signora di cui sentivo parlare da quando ero piccolo e tempo fa uno dei figli della marchesa mi ha accontentato inviandomi delle foto.
Chiacchiere di piazza.
Il gruppo “Gli Amici della Pasquetta” compie 25 anni.
Il gruppo “Gli amici della pasquetta” nasce nel 1996 da un idea di Nicola Iannace. Nicola accortosi che alcune tradizioni stavano scemando a San Salvo o erano fatte solo da alcuni amici con l’intendo di farsi una buona bevuta a casa di qualche conoscente, specialmente in quelle case dove c’era chi portava il nome ‘Ndònië e Pasquàlë (Antonio e Pasquale).
Nicola chiamò a raccolta alcuni amici, all’inizio era solo 12 a formare questo gruppo con l’intendo di porre una pietra miliare per le nuove generazioni all’insegna dei canti popolari del paese.
Attualmente il gruppo conta più di 60 elementi che nella sera della vigilia di capodanno, Sant’Antonio, San Sebastiano e il giorno della Passione si riuniscono e facendo varie tappe portano la tradizione in giro per le strade della città. Questo ha dato stimolo alla nascita di nuovi gruppi di canto.
Quest’anno gli amici della Pasquetta compiono 25 anni, loro non si sono fermati solo al canto ma si sono evoluti nel sociale.
Nel corso degli anni hanno trovato molti sostenitori che elargiscono donazioni con cui vengono stampati calendari che a loro volta vengono venduti e col ricavato, seguendo di anno in anno le indicazioni dei due parroci di San Salvo, vengono devoluti a una famiglia bisognosa d’aiuto.
I fratelli Andrea e Felice Manzone nella loro officina in via San Giuseppe.
Saggècce e ove.
Zà Creštène, tràmbe, tràmbe z’è avvicenète a maštre Luègge pê dèce:
“Uhè lu màštre, dumuàne lu mezzejùrne le prepàre jé, che vulàte le saggècce o l’òve”?
“Ni’ màgnàme ogne sorte de Ddè, penzàtece sugnuré”!
Mendre zà Creštène z’allundanàve, maštre Luègge accòppe ‘nu rasciàune a mèn’apèrte a lu lavurànde ca à cumunzàte a chiàgne gnë ‘na fundanèlle.
Zà Creštène tìtte pruccupàte armenènne arrète addummuànne a lu muàštre: “Ch’é succèsse, ch’é succèsse”?
“Štù fèije de mèzze pidìune, chiàgne ca vò saggècce e ove, che fàcce toštë vò saggècce e ove’ ”!
“Nne chiàgne, nne chiàgne fèije mè, dumuàne faciàme ‘na bbèlle frettète ‘nghe la saggècce”.